Un viaggio tra suoni ancestrali e radici profonde, dove il silenzio racconta storie antiche nella millenaria foresta di Somadida, oggi Riserva Naturale dello Stato gestita dall’Arma dei Carabinieri
Il sentiero si insinua nella montagna come un pensiero antico. Lo seguo con passo lento, assaporando ogni dettaglio: il profumo resinoso che si mescola alla terra umida, il canto lontano di un merlo, il fruscio del vento tra le cime degli abeti rossi. Sono nel cuore del Cadore, nella millenaria foresta di Somadida, un luogo in cui la Natura si esprime con la forza di un respiro primordiale. Qui, tra queste valli, i boschi non sono solo un paesaggio, ma una storia vivente, scritta con la linfa degli alberi e il passo leggero degli animali selvatici. Vengo per incontrare i Carabinieri forestali, coloro che di questa storia sono custodi silenziosi e discreti. È un incontro che desideravo da tempo, perché so che il loro lavoro va ben oltre il semplice controllo del territorio: è una missione, un impegno che affonda le radici in un rispetto profondo per la Natura e per il legame ancestrale tra l’uomo e il suo ambiente.
Quando li raggiungo, li trovo chini a terra, intenti a osservare qualcosa con attenzione. Il Ten. Col. Caterina Mancuso, Comandante del Reparto Carabinieri Biodiversità di Vittorio Veneto, che gestisce la Riserva Naturale dello Stato affidata all’Arma, alza lo sguardo e mi accoglie con un sorriso, poi mi fa cenno di avvicinarmi. Mi inginocchio accanto a lei e seguo il suo dito, che indica una serie di impronte leggere impresse nel suolo umido.
“Vedi, Federico, qui c’è scritto tutto”, dice con voce calma.
Scruto quelle tracce con curiosità. Sono piccole, delicate ma precise, come segni di una scrittura misteriosa.
“Un cervo?”, azzardo.
“Una femmina con il suo piccolo”, conferma lei. “Sono passati all’alba, scendendo verso il torrente. Cercavano acqua e cibo”.
Mi sorprende la sicurezza con cui legge quei segni invisibili ai miei occhi. Per lei sono una mappa, una testimonianza chiara e inequivocabile. Mi rendo conto che il bosco, per chi sa ascoltarlo, è un libro sempre aperto, una narrazione continua fatta di dettagli che spesso ignoriamo. Proseguiamo il cammino. L’aria del mattino è fresca, attraversata da un silenzio vivo, quello in cui ogni suono ha un senso: il battito d’ali di una poiana in volo, il crepitio lontano di un ramo spezzato, il gorgogliare discreto di un ruscello.

“Noi lavoriamo in ascolto della foresta”, mi dice Caterina, mentre camminiamo tra gli alberi. “Qui tutto parla: gli animali, il vento, persino il muschio sulle rocce. Noi siamo qui per proteggere questo equilibrio di biodiversità, per impedire che l’uomo lo rompa con la sua incuria, con la sua avidità”.
Mentre camminiamo, mi racconta delle loro attività quotidiane. Il controllo del territorio, la lotta al bracconaggio, la prevenzione degli incendi, la tutela delle specie, la didattica e l’istruzione per i ragazzi delle scolaresche. Mi spiega come le tormente degli ultimi anni abbiano cambiato il volto dei boschi, abbattendo migliaia di alberi e lasciando cicatrici profonde. Mi parla della sfida contro la deforestazione selvaggia, delle aziende che vorrebbero sfruttare senza ritegno le risorse naturali, del bostrico tipografo (un piccolo insetto coleottero che attacca prevalentemente l’abete rosso) e del surriscaldamento climatico.
“Ma la nostra battaglia più dura è contro l’indifferenza”, aggiunge, guardandomi negli occhi. “Finché la gente non capisce il valore di questi luoghi, sarà difficile proteggerli davvero”.
Annuisco, sentendo il peso di quelle parole. Ha ragione! Ci indigniamo quando un incendio devasta ettari di foresta, quando una frana spazza via un pezzo di montagna, ma spesso ignoriamo il lavoro quotidiano che previene questi disastri.
Arriviamo in una radura. Di fronte a noi si erge un larice secolare, il tronco nodoso segnato dal tempo. Il Tenente Colonnello posa una mano sulla corteccia rugosa e sorride.
“Questo è un testimone”, dice. “Ha visto passare secoli di tempeste e uomini. Noi siamo solo di passaggio, ma abbiamo il dovere di proteggerlo”.
Mi avvicino, sfioro il tronco con le dita e sento la sua ruvida resistenza. Quante storie potrebbe raccontare quest’albero? Quante generazioni ha visto nascere e morire? Quante battaglie sono state combattute sotto la sua ombra?
Il sole inizia a calare dietro le cime, tingendo il cielo di arancio e viola. È ora di salutarsi. Stringo la mano di Caterina, sentendomi più ricco di quando sono arrivato.
“La prossima volta t’insegneremo a leggere meglio le tracce”, mi dice con un sorriso. “Il bosco ha ancora tante cose da raccontare”. Sorrido anch’io. Mentre mi allontano, il vento tra gli alberi sembra un sussurro di ringraziamento.
I Carabinieri forestali restano lì, vigili e silenziosi, custodi di un mondo che ci ospita e che, troppo spesso, dimentichiamo di rispettare. E io torno a casa con una certezza in più: ci sono battaglie che meritano di essere combattute. E questa è una di quelle.