NATURA SALVIFICA

5 Novembre 2025

di

Hans Honnacker

Nel Decameron, l’opera più celebre di Boccaccio, di cui ricorre il 650º anniversario della morte, la Natura si manifesta tanto nella sua dimensione selvaggia, che la società deve domare, quanto nel giardino artificiale che ricrea un’armonia perduta e offre rifugio dalla corruzione mondana

Nel 650° anniversario della morte di Giovanni Boccaccio, uno dei più grandi scrittori del Trecento italiano, insieme a Dante e Petrarca, si celebra il suo capolavoro, il “Decameron”, diventato modello letterario in tutta Europa. Basti pensare ai “The Canterbury Tales”, di Geoffrey Chaucer. Le macrotematiche della “commedia umana”, rappresentata nelle 100 novelle del “Decameron”, sono sostanzialmente tre: la Fortuna, l’Ingegno umano e l’Amore. Tuttavia, non manca il tema della Natura nelle sue varie accezioni: la Natura intesa come forza generatrice del mondo o, come dice Boccaccio stesso, la “madre di tutte le cose e operatrice col continuo girar de’ cieli” (Decameron, VI, 5) la quale, insieme alla Fortuna, governa le cose umane. In alcuni casi l’autore usa la parola “natura” anche come indole e carattere dell’uomo o, in generale, come natura umana: p.es. nella cosiddetta “novella delle papere” (Decameron, IV, introduzione, 12-29), in cui la natura si rivela più forte dell’ingegno umano.

Giovanni Boccaccio, scrittore e poeta italiano.

I LOCI AMOENI

La Natura, infine, è presente nel “Decameron” con il significato di ambiente o paesaggio, modellato dall’uomo. Mi riferisco in particolare ai luoghi ameni, loci amoeni, della cosiddetta “cornice”, in cui vengono raccontate le novelle. Questi luoghi sono sostanzialmente giardini, frutto dell’intervento ingegnoso e creativo dell’uomo o spazi naturalistici di straordinaria bellezza. Nella sua monumentale opera “I giardini di Firenze”, Angiolo Pucci identificava uno dei loci amoeni con Villa Palmieri, tra Firenze e Fiesole, che, a suo parere, corrispondeva ancora all’inizio del Novecento, alla descrizione boccacciana: “Il veder questo giardino, il suo bello ordine, le piante e la fontana co’ ruscelletti procedenti da quella, tanto piacque a ciascuna donna e a’ tre giovani che tutti cominciarono ad affermare che, se Paradiso si potesse in terra fare, non sapevano conoscere che altra forma che quella di quel giardino gli si potesse dare” (Decameron, III, introduzione, 11). Si badi bene che il Boccaccio sottolinea sempre il bell’ordine dei loci amoeni dove ogni elemento risponde al principio di armonia, in cui arte e Natura collaborano nella creazione di un luogo paradisiaco e armonioso. Infatti, è proprio l’euritmia che ammirano di più i dieci giovani della “lieta brigata”.

Il Decameron, o Decamerone, è una raccolta di cento novelle scritte da Giovanni Boccaccio. È considerata una delle opere più importanti del Trecento europeo, capostipite della letteratura in prosa in volgare italiano.

Questo vale anche per la cosiddetta “Valle delle donne”, dove si ragiona durante la settima giornata del “Decameron”, le cui caratteristiche “architettoniche”, cioè di Natura stilizzata, vengono ben messe in evidenza. Il piano della valle è rotondo, quasi geometrico, e ha addirittura la forma di un teatro romano. Tuttavia, tale locus amoenus non è del tutto separato dal mondo umano, dal momento che è circondato da sei colline sulla cui cima si vedevano dei castelli. Si possono distinguere tre zone della valle: i pendii meridionali delle colline, che sono pieni di alberi fruttiferi (viti, ulivi, mandorli, ecc.), mentre in quelli settentrionali, come anche nella parte bassa e pianeggiante, si trovano conifere (querce, frassini, ecc.) e allori. Il fondo della valle è costituto da un prato, attraversato da un fiumicello che nel mezzo della valle forma un piccolo laghetto di acqua limpida, in cui le tre giovani si rinfrescano con loro grande diletto.

I loci amoeni non si trovano solo nella “cornice” del “Decameron”, ma sono presenti anche nelle stesse novelle e, secondo la retorica medievale, sostanzialmente legati all’ambientazione di storie d’amore. Dei numerosi esempi vorrei riportarne solo uno: la sesta novella della quarta giornata. Tutta la scena dell’innamoramento, dell’amore segreto di Gabriotto e Andreuola, cioè tutta la parte felice della novella prima della catastrofe, si svolge nel “giardino del padre di lei” (Decameron, IV, 6, 9). Questo giardino è importante per il dramma che vi si svolgerà, ed è anche rilevante il fatto che si tratti di un giardino privato, cioè di un mondo isolato, un hortus conclusus (giardino chiuso). Lì c’è una “bellissima fontana e chiara” (ivi, 12), ai piedi della quale i due giovani innamorati si incontrano con grandissimo piacere da parte di entrambi. Il Boccaccio applica qui il topos del locus amoenus proprio a un amore gentile e giovanile, così come volevano le retoriche medievali.

LA PESTE

Nel Decamerone la peste del 1348 è l’evento storico che fa da cornice all’opera e che giustifica la fuga di dieci ragazzi da Firenze, i quali decidono di rifugiarsi nelle campagne fiorentine. L’autore descrive la peste concentrandosi sul degrado morale della società che l’epidemia ha portato con sé in città.

Per capire meglio la rilevanza dei luoghi ameni della “cornice” dell’opera boccacciana, questi vanno analizzati sullo sfondo della descrizione dell’orrenda pestilenza nell’introduzione del “Decameron”. In relazione a questa catastrofe, essi sembrano adempire la funzione dell’escape: sono lontani dalle preoccupazioni umane e non sono sottoposti alle leggi umane. Tali luoghi di bellezza perfetta servono a dimenticare tutte le tristezze e preoccupazioni che i dieci giovani hanno lasciato alle loro spalle, uscendo da Firenze, come si legge nell’introduzione alla prima giornata (Decameron, I, introduzione, 92-95). In tal modo, preoccupazioni e tristezza vengono espressamente bandite dai loci amoeni. Tuttavia, l’andare nel “contado”, cioè frequentare questi luoghi ameni, non è una semplice fuga da una realtà crudele verso un mondo immaginario e perfetto.

NATURA, RIFUGIO E SOLLAZZO

Un paesaggio pastorale del pittore fiammingo Maerten Ryckaert.

La Natura modellata e coltivata dall’uomo, nella forma dei loci amoeni del “Decameron” non rappresenta pertanto solo un rifugio idillico e uno scenario gradevole per il novellare, ma serve anche alla duplice funzione del “sollazzo” e del riordino del dissesto sociale causato dalla peste del 1348. La loro forma ordinata e armoniosa si oppone al caos sociale e morale, causato dalla pestilenza. Questi luoghi di straordinaria bellezza, creati dall’uomo in armonia con la Natura, come quelli descritti dal Boccaccio nel suo capolavoro, non vanno soltanto salvaguardati dall’incuria dell’uomo, ma anche dalle conseguenze del cambiamento climatico sempre più devastanti. Un esempio virtuoso di salvaguardia di un luogo di Natura e cultura, ma anche di storia e arte, è costituito, a mio avviso, dalla Riserva Naturale di Vallombrosa, presso Firenze. Nei secoli Vallombrosa e il suo monastero, luogo letterario e di spiritualità per eccellenza, sono stati cantati da poeti come John Milton nel “Paradise Lost”, Gabriele D’Annunzio nelle “Laudi” e infine da Ludovico Ariosto che, nelle novelle inserite nel suo “Orlando Furioso”, imitava proprio il “Decameron” del Boccaccio.

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