L’eccellenza enoica incontra il design
Un viaggio tra le tenute vinicole più affascinanti d’Italia
Il bello e il buono vanno di pari passo, insegnava qualcuno. Affermazione condivisibilissima, ormai attagliatasi perfettamente anche al nettare di Bacco, dopo quanto avvenuto già ai fornelli: al punto tale che Gualtiero Marchesi, iniziatore della moderna cucina italiana, sosteneva che un piatto buono non poteva che rivelarsi anche bello, e viceversa, a conferma che l’alta gastronomia non potrebbe che definirsi un’ulteriore corrente artistica, pur volendo trascurare per un momento narici e papille. Ecco che man mano, quindi, anche il vino si è ineludibilmente tolto molteplici soddisfazioni nel dimostrare che una visita in cantina potrebbe essere foriera delle più variegate suggestioni, pur prescindendo dal volteggiar di calici nell’aere: una volta che tutta la struttura enoica fosse affidata ad architetti e designer preparati e lungimiranti, per essere concepita appieno sia in funzione di una compatibilità del tutto ecosostenibile con l’ambiente, sia di un felice inserimento nel contesto che la circonda. Anche qui, alcuni pionieri hanno fatto scuola, fra le importanti dinastie che hanno reso il vino italiano fra i più celebrati del globo terracqueo: da Nord a Sud coloro che hanno non soltanto potuto, ma saputo investire, hanno dimostrato che quel bello e quel buono sopra citati non avrebbero costituito soltanto una dichiarazione d’intenti, ma una sinergia fra i due elementi tale da condurre l’opera a un risultato superiore alla semplice somma dei componenti, come di solito si usa retoricamente dire.

ARCHITETTURA E VINO BINOMIO VINCENTE
In una pur doverosa cernita di questi capolavori dell’arte e del gusto, a mo’ d’esempio e da Nord a Sud, un posto d’onore (come in tutte le vicende enoiche che più contano nel Belpaese), spetta di diritto ai Marchesi Antinori. Nel cuore del Chianti Classico la loro cantina, edificata da un progetto del 2012 dopo sette anni di lavoro, a basso impatto ambientale e alto risparmio energetico, è stata realizzata da Marco Casamonti, socio fondatore dello studio Archea Associati, con l’ingegnerizzazione di Hydea: di pari passo, ovviamente, con quanto voluto dagli Antinori stessi. I colori della struttura fra il rosso e il marrone e i materiali utilizzati, che vanno dal legno al cotto, ratificano il legame e il rispetto per quel territorio che ha visto i Nostri sempre ai vertici, sin dal Trecento, integrando perfettamente la bellissima costruzione all’interno di un paesaggio senza eguali (“Imaginary Landscape”, lo definiscono gli americani).
Al di là del fascino indiscutibile, non possiamo però dimenticare che trattasi di un edificio dove si raccoglie l’uva e si fa vino, con tutto ciò che ne consegue per ambienti fermentativi e di affinamento nel legno, spazio per le degustazioni, sala riunioni, uffici amministrativi, ricezione e vendita al pubblico, e quant’altro ne consegue. Quindi ogni superficie, dalla terrazza dell’ospitalità fino al parco interrato delle botti, vive di ambienti fra loro autonomi e collegati al contempo: un tesoro architettonico capace di conferire ulteriore lustro al buonissimo vino che contiene, così come di trarre a sua volta vantaggio e condivisione da questo.

Nella fattispecie siamo in Toscana, cuore dell’enologia del Centro Italia; ma volendo partire con ordine dal nostro Settentrione non potremmo non citare Nals Margreid, nella bolzanese Nalles: premiata una decina d’anni fa alla Biennale di Venezia per la categoria interior design, nell’ambito del Concorso “Le Cattedrali del Vino”. Anche perché la cantina è stata edificata, su progetto dell’Architetto Markus Scherer, con i materiali di pertinenza dell’affinamento della bevanda, cioè legno, cemento e acciaio. Perfettamente fusa al contesto ambientale (l’origine della struttura risale al 1764, come Tenuta Von Campi), vede anch’essa uno spazio interrato per la vinificazione, collegato a quello un tempo preesistente.
Tornando al centro peninsulare, un colpo di fulmine per l’eventuale visitatore sarà di certo fornito dal Carapace di Arnaldo Pomodoro, che i fratelli Lunelli (Cantine Ferrari) hanno voluto per la loro cantina umbra, da cui il Sagrantino di Montefalco aziendale. Una vera scultura, definita esternamente da un carapace che ricorda per l’appunto la corazza di una tartaruga, ricoperto di rame e innervato da crepe atte a rappresentare le fenditure del terreno. Secondo il Maestro Pomodoro, la tartaruga sarebbe simbolo di robustezza e longevità, con la sua casa a fungere da tramite fra terra e cielo.
GIÙ AL SUD

A Sorbo Serpico, in provincia di Avellino, tappa pressoché obbligata sarà costituita da Feudi di San Gregorio, capolavoro di proprietà di Antonio Capaldo. Nel 2001 fu Hikaru Mori a progettare il moderno e affascinante restyling aziendale, per un risultato finale esposto due volte alla Biennale di Venezia. Senza dimenticare, però, che gli interni e lo stile d’arredamento si devono a Massimo e Lella Vignelli: veri mostri sacri del settore, mancati entrambi pochi anni fa. Oltre a ciò, da apprezzare le collezioni contemporanee e permanenti sul vino, ideate e realizzate in sede dai diversi artisti che hanno collaborato con la cantina.

Ci attende adesso, arrivati nell’estremo lembo meridionale del Belpaese, l’opera magistrale che Donnafugata ha saputo pensare ed erigere in uno dei nostri territori del vino considerati dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità: grazie all’antico sistema di allevamento con il cosiddetto alberello, circondato e protetto dai caratteristici muretti a secco della viticoltura locale. Siamo a Pantelleria, perla nera del Mediterraneo, aspra e misteriosamente soggiogante al contempo, dove la famiglia Rallo ha affidato all’architetto milanese Gabriella Giuntoli il compito di aggiornare ai tempi nostri il verbo delle caratteristiche costruzioni locali (non per nulla lo Studio Giuntoli ha ristrutturato modernamente molti dammusi dell’isola, trasformandoli in residenze di alta vacanza): per la precisione in contrada Khamma, fra le più indicate per l’uva zibibbo, dove fra l’altro i fratelli Rallo hanno voluto ricreare anche un caratteristico giardino pantesco, donato poi al FAI. Quante ancora potremmo raccontarne? Quanti vini preziosi avremmo modo di assaggiare, prodotti e serviti in contesti e strutture che il mondo ci invidia? Sta a tutti noi muoverci lungo lo Stivale italico alla ricerca di tali meraviglie. Però, sempre organizzandoci e prenotando per tempo: che calice amaro sarebbe quello virtualmente bevuto dopo aver fatto un viaggio a vuoto, privandoci così del bello e del buono del nostro Tricolore.
